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Le Nostre Parole

Tessere Equilibri:
una narrazione collettiva.

Da un'idea di Alessandra Panaccione e Lara Cesari.

 

Lug 1, 2020 | Narrazioni

Tessere Equilibri con: Marina De Vito

La pandemia e il divario…tra italiani
 

Osservo, leggo e sento cose raccapriccianti…
Il mio non vuole essere un messaggio politico ma semplicemente un pensiero di una persona che si è sentita sempre tanto fortunata nell’aver vissuto e goduto di due realtà, diverse, ma ricche e permeanti quali l’origine del sud e l’essere nata al nord.

Sin da bambina apprezzavo il calore, l’affetto, i profumi, i sapori e il colori delle mie origini del sud ma amavo, grazie anche ai messaggi trasmessi dai miei genitori, la laboriosità, la determinazione, la dedizione e l’impegno del popolo del nord che mi aveva fatto nascere in un contesto di opportunità e anche di relazioni forti.

Mi sento tuttora una privilegiata nel comprendere e parlare due dialetti, nel saper distinguere il bello e il “brutto” che rappresentano l’essere umano, ma che non è un’etichetta da affibbiare per forza all’uno o all’altro popolo; non si può fare di tutta un’erba un fascio.

Nel crescere, mi sono illusa che qualcosa fosse cambiato e che si potesse convivere apprezzando gli uni e gli altri con le proprie differenze e le proprie peculiarità; invece ciò che sento oggi è astio, cattiveria gratuita, retro pensieri atavici…e mi dico..a cosa serve?

La Pandemia con tutti questi morti dovrebbe ricordarci che siamo proprio tutti uguali…
La fine è fine…ed è per tutti.

Io non voglio guardare tutto ciò con gli occhi di adesso, ma recuperare la speranza e l’arcobaleno che avevo negli occhi da bambina, guardando in “entrambe le direzioni”…con tanta tanta speranza in un mondo migliore e più unito.
L’unione rende forti e ricchi…l’astio disgrega e non porta a niente di buono…

 

Tessere Equilibri con: Marina Carnevale

Il mio “dopo”.
 

Oggi, tre mesi dopo.
Salgo in metro
Guanti, mascherina, indicazioni chiare, percorsi segnati.
Tutto bene. Sto alle regole.
Poi esco in superficie, Piazza Argentina.
I negozi sono ancora tutti lì sul corso, ma alcuni chiusi
Io osservo, quasi distratta.
Poi, all’improvviso, al semaforo, è un attimo. Vuoto.
E lo vedo: la città non è più lei!
Mi invade un’immensa tristezza.
Sono sola
Cammino sulle ceneri della mia città
E’ tutto grigio, freddo, morto
Vorrei fermarmi a piangere per Milano
Per tutta questa gente
Per me. Quella che ero (o che facevo)
Perché non è il “fuori”, ma il mio “dentro” che è cambiato.
Le vetrine, i cartelli che inneggiano al ritorno, i bar con i tavolini fuori…
Tutto mi sembra così inutile, futile, superfluo, passeggero.
Mi stanco facilmente.
Voglio tornare a casa
Rinchiudetemi lì, ci sto bene.
Al sicuro!

 

 

Tessere Equilibri con: Gabriele Lopes

Ho scoperto di non tollerare l’incertezza.
 
Ho scoperto di non tollerare l’incertezza.
Nei giorni prima di questo marasma mi definivo un risk worker, una persona in grado di tollerare qualsiasi tipo di incertezza. In realtà, questa mia percezione nasce anche dai feedback che ho ricevuto nel corso degli anni. In questa notte di insonnia invece ho scoperto di non tollerarla. Quella che prima spacciavo per incertezza invece non lo era.

 

Quei momenti difficili in cui riuscivo a destreggiarmi come un arciere erano solo imprevisti da gestire in cui il mio potere decisionale era alto, costante, potevo avere il controllo della situazione. Potevo scegliere, selezionare, aggiungere, includere… ora no. Adesso tutto questo non lo vedo tra le mie mani. Ciò che vedo sono i mq della mia abitazione, 60 per la precisione.
 
Conosco nel dettaglio gli unici millimetri che calpesto da più di 70 giorni. In questo spazio non è concesso al sole di illuminarmi, perché il mio rifugio è senza balcone, ma ha tante finestrone. Adesso non tollero nemmeno i palazzoni che tanto mi affascinavano al mio arrivo a Roma, proprio quelli che raccontano la storia incredibile e affascinante della nostra Capitale.

 

Ogni giorno sono solito scrivere sul calendario i giorni in cui passo a casa e le volte che esco per andare al supermercato e in farmacia. Quando lo faccio mi ricordo che sono fragile, che ho paura del dopo, di cosa ci sarà alla fine di questo tunnel, perché questo cambiamento non l’ho deciso io, perché i cambiamenti che tanto mi affascinano sono quelli scelti e selezionati da me. Mi trovo a convivere con i dolori che solitamente mi ricordano le vacanze e il riposo: il mio problema di circolazione alle gambe che prende il sopravvento nel mese di agosto, perché mi voglio riposare da tutto, anche dall’attività fisica.

 

Adesso quello stesso dolore si è presentato inaspettatamente a marzo, continuerà ad aprile e magari fino a maggio.
Non so quanti altri giorni dovrò rimanere lontano dalle persone che amo, dai miei cari che ogni giorno mi salutano con calore dalla Sicilia, dai miei amici, dai miei colleghi, dalla mia dinamicità che mi accompagna a stare 14 ore al giorno fuori casa. Forse più che mai non tollero l’incertezza di come potrò vedere mutare le mie relazioni, la mia dinamicità, i miei pregi e i miei difetti alla fine di questo delirio che mi governa ogni giorno.
 

 

 

Tessere Equilibri con: Francesco Tulli

La nostra zattera
 

 

Si chiama Governare l’inatteso il libro interessantissimo di Karl E. Weick e Kathleen Sutclife che presenta casi concreti, soluzioni e proposte in tema di affidabilità organizzativa. Per me, che per tanti anni mi sono impegnato e ho provato a dare un contributo nelle aule e nelle attività di ricerca e consulenza sul tema della cultura di sicurezza, questo libro è un riferimento importantissimo.
 

Ma in questo momento, nel dramma che si sta consumando nel mondo, nel tempo sospeso che stiamo vivendo, in questa dimensione angosciante della ingovernabilità e dell’inatteso, questo titolo mi disorienta. La reazione emotiva è rabbia, ma preferisco scegliere un approccio più costruttivo. Mi aiuta tornare col pensiero al quadro La zattera della Medusa di Theodore Gericault, uno dei più grandi artisti dell’Ottocento francese.

La scena dipinta vuole stigmatizzare quel che accadde durante il naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania. Le cronache del tempo riportano che 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, mentre le 150 della ciurma dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 29 metri e larga 7. Di queste, solo 15 fecero ritorno a casa. Le cause del dramma furono attribuite a negligenze e decisioni affrettate del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che, oltre a non navigare da circa venticinque anni, non aveva una buona conoscenza di quelle acque, e questo portò la fregata a incagliarsi sul fondale sabbioso.
 

In certi momenti, come questo, mi sento come quel vecchio sulla zattera dipinto in atteggiamento pensoso, come se non riuscisse a darsi spiegazioni per quello che è successo. E penso che se lui trattiene il corpo del figlio per non farlo scivolare in mare, io cerco di trattenere i messaggi che mi hanno guidato nella attività professionale, come: l’individuazione e la gestione degli errori, la capacità previsionale, l’attenzione ai segnali deboli, la flessibilità nelle risposte… Ma rimango disorientato, smarrito e mi rendo conto che tutto questo non basta. Allora mi fermo.

 

Come salvarsi dalla zattera?

 

Fermandomi, “mi faccio raggiungere dall’anima” (un suggestivo invito alla consapevolezza tratto da un racconto africano) e così il mio spirito mi porta a immedesimarmi nel marinaio che sta cercando di segnalare la presenza della zattera alla nave Argus che è in lontananza.

 

Mi immagino sventolare un panno, la bandiera dell’idealità della sicurezza, di un valore che non si fa appiattire sul fatto burocratico o su istanze meramente adempitive.

 

Abbandono il tema a me caro della sicurezza sul lavoro, anche se è della nostra sicurezza stiamo parlando, per asserire che oggi dobbiamo essere come Jean Charles, il marinaio africano della zattera capace di guardare oltre, che sa vivere il dramma come occasione di cambiamento, come rifiuto del ritorno alla normalità se la normalità ci ha portato a non avere difese contro questo nemico che in questi giorni stiamo combattendo.

 
 
Penso sia importante che tutti noi possiamo sventolare questa bandiera perché (come dice il Tao) mai nessuno aprirà la porta al posto nostro.

 

 

 

Tessere Equilibri con: Jennifer Cataudella

Alla cortese attenzione del COVID-19.
Roma, 27/03/2020

Oggetto: elucubrazioni mentali.

Ti scrivo dalla mia cucina, mentre al seminario parlano di te, cercano di capirti e di capire come rapportarsi a te per… conoscerti? Contrastarti? Debellarti?
Ti scrivo dalla mia cucina, in casa mia, dove sono chiusa da diversi giorni, se è per colpa o merito tuo non l’ho ancora capito, anche al seminario le posizioni sembrano essere piuttosto contrastanti…
Poche settimane fa, non avrei trovato la situazione insolita, la mia introversione mista a un pizzico di ansia sociale, spesso mi hanno fatto godere dell’intimità della mia casa per lunghi periodi. Eppure oggi è diverso, perché questa condizione non è scelta, ma necessaria e trasforma in desiderio il rumore del vento, in passione il cielo, in orgasmo il calore del sole.
Nei rari momenti in cui sono uscita, ho sentito profumo di fiori; mi rincuora sapere che almeno la Primavera non è rinchiusa nella sua tana.
Le persone accanto a me – no, non accanto, in contatto con me – sono preoccupate per la propria salute, per il proprio lavoro, per i propri cari. Qualcuno si annoia e basta, trascina i piedi in giro per casa, aspettando che tu possa non essere più motivo di apprensione.
Ti scrivo perché non so che altro fare per togliermi di dosso questa coperta asfissiante tessuta con fili di “surrealtà”. Lavoro, leggo, suono il pianoforte, pulisco casa, mangio. E penso.
Penso a cosa sta generando in me questa tua presenza. La tua presenza, genera vuoto e mancanza, la mancanza della mia famiglia, dei miei colleghi, di persone che… chi lo avrebbe mai detto mi potessero mancare? Tu ci hai costretto a trovare nuovi modi per stare insieme, e sono nate le feste di compleanno virtuali, le cene a lume di screen, le video-conference di allineamento con i colleghi. Una video-conference in 12? Ieri sarebbe sembrata follia, oggi è la necessità di lavorare a distanza sinergica e desiderio di sentirsi ancora connessi.
Penso ai legami che, nella difficoltà e nel disagio, si sfibrano e a quelli che, invece, si rinsaldano.
Cosa accadrà, domani, a queste nuove versioni di noi stessi? Cosa lascerà il tuo passaggio su di noi e sulla nostra storia? E soprattutto, cosa ne sarà del desiderio di vicinanza che provo ora, quando essere separati è una costante… sopravvivrà in un mondo in cui toccarsi è possibile, o come Icaro precipiterà in mare per aver osato andare oltre?
Non sono mai stata predisposta a immaginare il futuro, ma vorrei che questa sensazione dolce e un po’ dolorosa di mancanza rimanesse con me, un’onda che si infrange in petto, con lo stesso fragore delle voci di chi manca.
Ti saluto da lontano.
Jennifer

Alla cortese attenzione
della Sig.ra che evidentemente
ha abbondanti scorte di vino in casa
Mondo, Sempre

Oggetto: grasse risate!
Guarda, in questi giorni mi sento più fico di Gesù! Ore e ore a parlare di me, per capire cosa sono, qual è il significato dietro al mio arrivo, il messaggio di cui sono portatore e come questo accadimento può essere interpretato!! Spassoso, esilarante, ho le lacrime agli occhi!
Dentro o fuori, sani o malati, a casa o a lavoro, niente è cambiato, siete fatti della medesima carne, di sangue e ossa …!! Eppure smarriti, vi aggirate a tentoni in una realtà che… è identica a prima! Siete voi, miei cari, a essere stati ciechi e orbi fino a pochi giorni fa! Ciechi e orbi incapaci di ribaltare il mondo, di capovolgere il cuore, di invertire i sensi fino a che il mondo non lo ha fatto per voi!
E se prima credevate di vedere ed eravate ciechi, ora vi sembra di parlare e siete muti! Vi pare di ascoltare? No! Siete sordi! Parole vuote rimbalzano tra le vostre strade vuote! Forse dovrà silenziarsi il mondo al posto vostro, per costringervi finalmente a prestare ascolto.
Tu mi parli di Icaro, del desiderio di vicinanza, ma non fu il desiderio a tradirlo, ma la cera con cui fissò le penne!
Scegli con cura il collante per le tue ali!!
E adesso smettetela di scocciarmi tutti quanti, che l’unico vero problema che avete è che non potete copulare come conigli.
Saluti virali,
Covid-19

 

Tessere Equilibri con: Lara Cesari

Quando ti prepari per il trasloco cominci a fare scatole. Dentro quei cartoni metti gli oggetti che hai raccolto in una vita. Quando chiudi quelle in cui metti i piatti, i bicchieri, i vasi, i lampadari, gli specchi, scrivi sopra FRAGILE, per far sì che chi le trasporta nella nuova casa, e tu stessa, le tratti con maggiore cura.

Oggi la parola FRAGILE la vedo scritta su di me, su di noi, sui portoni chiusi dei palazzi, sulle strade vuote, sui cappotti appesi che non indossi, sulle abitudini di ieri.

Tutto da maneggiare con cura.

E poi viene il giorno in cui le scatole si aprono per ricostruire la quiete della casa. Alcune cose si saranno rotte e non ci saranno più, altre prenderanno posti nuovi, diversi da dove gli occhi erano abituati a coglierli, altre ancora ne dovrai comprare, per sostituire i rotti, per rispondere a nuove esigenze e nuovi spazi. Ecco, oggi, sto un po’ così, come una scatola con sopra scritto FRAGILE… maneggiatemi con cura.

 

 

Tessere Equilibri con: Silvia Quondamstefano

La quarantena – lo spazio sospeso
Le giornate passate nel traffico mi sembrano un ricordo lontano e non mi mancano. Non mi manca la frenesia della gente, il mangiare di corsa, il lavoro stremante, le cose all’ultimo minuto. Non mi manca lo stress, l’alta performance, la rincorsa al risultato.

Riscopro il piacere della cena a casa, del bicchiere di vino sul divano, di una danza improvvisata nel salotto, del giocare insieme, del fare le cose lentamente.

Riscopro la gentilezza tra sconosciuti, di quando fai quel tanto di spazio che serve per far passare qualcuno che hai incrociato al banco della frutta, evitando reciprocamente di mettersi in pericolo “prego vai prima tu” e lì in quel momento ci si sorride con gli occhi, che gli occhi, quando sorridono si vedono bene anche se indossiamo una mascherina.

Mi prendo cura delle relazioni importanti, le tengo a distanza dalla solitudine peggiore che è quella emotiva: il sentire di non essere nella mente dell’altro, “Non puoi capire quanto mi fai felice che mi chiami tutti i giorni” mi dice nonna, prima non la chiamavo abbastanza, non c’era mai tempo. Riscopro l’importanza di ascoltare le emozioni, così come arrivano: ansia della malattia, paura di non farcela, stupore per tante novità, shock, sempre lo stesso, dei bollettini di chi non ce l’ha fatta e ha lasciato uno spazio vuoto.

Ho l’occhio allenato a cogliere indizi di meraviglie nel bel mezzo di una battaglia, il cuore forgiato a cogliere il peso delle emozioni controverse, la mente pronta a rimanere lucida piuttosto che farsi affogare. Questo perchè non sono sola, questa battaglia ci coinvolge tutti, ci unisce tutti, lo sento il calore da quei balconi, lo sento che siamo un tutt’uno, lo sento che siamo più vicini di quanto non lo fossimo mai stati prima.

 

 

Tessere Equilibri con: Alessandra Panaccione

Oggi siamo tutti tessitori di equilibri per noi stessi e gli altri, siamo nel “non più e non ancora”.

Che cosa accadrà dopo questa emergenza? Come sarà il mondo domani? Come saremo noi?

Tornare al centro delle nostre vite e sentirci di nuovo potenti e recuperare spazi di volontà e di scelta, ci aiuta ad affrontare l’emergenza e a gestire l’incertezza.
Raccontare e scrivere ci rimettono al centro del nostro progetto di vita e di futuro, delle nostre relazioni sociali, ci aiutano a comprendere ed elaborare, a stare in una prospettiva di passaggio, di transizione, di movimento verso il nostro domani.

Scrivere è terapeutico e generativo: ci aiuterà a passare oltre senza dimenticare, a ricordare senza dolore, a riconoscere come siamo cambiati, cosa abbiamo imparato. La scrittura trasforma frammenti di consapevolezza in un insieme organizzato, svela collegamenti perduti, ne genera di nuovi. Ricompone a mosaico le tessere della nostra esistenza. Raccontare è un contenitore generativo per tornare a immaginare il domani, a creare desideri di futuro.

Donare le nostre parole, esplorare le parole di altri, scambiare in una dimensione collettiva le nostre esperienze, renderà più facile il passaggio che siamo tutti chiamati ad attraversare.

Tessere equilibri significa condividere le nostre narrazioni, che rendono comprensibili i disagi e possibili i sogni, rivitalizzano la nostra rete sociale, commuovono, confortano, fanno sorridere, sorprendono, arricchiscono nella differenza delle prospettive sul presente e sul futuro.

Vi invitiamo a farlo insieme, a scegliere di vivere e non solo sopravvivere, ad utilizzare l’oggi per pensare insieme il dopo, per immaginare come sarà il nostro domani.

 

 

Per inviare il tuo contributo e partecipare al progetto,

scrivi a  Jennifer Cataudella j.cataudella@hxo.it

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Lug 1, 2020 | Narrazioni

Tessere Equilibri con: Marina De Vito

La pandemia e il divario…tra italiani
 

Osservo, leggo e sento cose raccapriccianti…
Il mio non vuole essere un messaggio politico ma semplicemente un pensiero di una persona che si è sentita sempre tanto fortunata nell’aver vissuto e goduto di due realtà, diverse, ma ricche e permeanti quali l’origine del sud e l’essere nata al nord.

Sin da bambina apprezzavo il calore, l’affetto, i profumi, i sapori e il colori delle mie origini del sud ma amavo, grazie anche ai messaggi trasmessi dai miei genitori, la laboriosità, la determinazione, la dedizione e l’impegno del popolo del nord che mi aveva fatto nascere in un contesto di opportunità e anche di relazioni forti.

Mi sento tuttora una privilegiata nel comprendere e parlare due dialetti, nel saper distinguere il bello e il “brutto” che rappresentano l’essere umano, ma che non è un’etichetta da affibbiare per forza all’uno o all’altro popolo; non si può fare di tutta un’erba un fascio.

Nel crescere, mi sono illusa che qualcosa fosse cambiato e che si potesse convivere apprezzando gli uni e gli altri con le proprie differenze e le proprie peculiarità; invece ciò che sento oggi è astio, cattiveria gratuita, retro pensieri atavici…e mi dico..a cosa serve?

La Pandemia con tutti questi morti dovrebbe ricordarci che siamo proprio tutti uguali…
La fine è fine…ed è per tutti.

Io non voglio guardare tutto ciò con gli occhi di adesso, ma recuperare la speranza e l’arcobaleno che avevo negli occhi da bambina, guardando in “entrambe le direzioni”…con tanta tanta speranza in un mondo migliore e più unito.
L’unione rende forti e ricchi…l’astio disgrega e non porta a niente di buono…

 

Tessere Equilibri con: Marina Carnevale

Il mio “dopo”.
 

Oggi, tre mesi dopo.
Salgo in metro
Guanti, mascherina, indicazioni chiare, percorsi segnati.
Tutto bene. Sto alle regole.
Poi esco in superficie, Piazza Argentina.
I negozi sono ancora tutti lì sul corso, ma alcuni chiusi
Io osservo, quasi distratta.
Poi, all’improvviso, al semaforo, è un attimo. Vuoto.
E lo vedo: la città non è più lei!
Mi invade un’immensa tristezza.
Sono sola
Cammino sulle ceneri della mia città
E’ tutto grigio, freddo, morto
Vorrei fermarmi a piangere per Milano
Per tutta questa gente
Per me. Quella che ero (o che facevo)
Perché non è il “fuori”, ma il mio “dentro” che è cambiato.
Le vetrine, i cartelli che inneggiano al ritorno, i bar con i tavolini fuori…
Tutto mi sembra così inutile, futile, superfluo, passeggero.
Mi stanco facilmente.
Voglio tornare a casa
Rinchiudetemi lì, ci sto bene.
Al sicuro!

 

 

Tessere Equilibri con: Gabriele Lopes

Ho scoperto di non tollerare l’incertezza.
 
Ho scoperto di non tollerare l’incertezza.
Nei giorni prima di questo marasma mi definivo un risk worker, una persona in grado di tollerare qualsiasi tipo di incertezza. In realtà, questa mia percezione nasce anche dai feedback che ho ricevuto nel corso degli anni. In questa notte di insonnia invece ho scoperto di non tollerarla. Quella che prima spacciavo per incertezza invece non lo era.

 

Quei momenti difficili in cui riuscivo a destreggiarmi come un arciere erano solo imprevisti da gestire in cui il mio potere decisionale era alto, costante, potevo avere il controllo della situazione. Potevo scegliere, selezionare, aggiungere, includere… ora no. Adesso tutto questo non lo vedo tra le mie mani. Ciò che vedo sono i mq della mia abitazione, 60 per la precisione.
 
Conosco nel dettaglio gli unici millimetri che calpesto da più di 70 giorni. In questo spazio non è concesso al sole di illuminarmi, perché il mio rifugio è senza balcone, ma ha tante finestrone. Adesso non tollero nemmeno i palazzoni che tanto mi affascinavano al mio arrivo a Roma, proprio quelli che raccontano la storia incredibile e affascinante della nostra Capitale.

 

Ogni giorno sono solito scrivere sul calendario i giorni in cui passo a casa e le volte che esco per andare al supermercato e in farmacia. Quando lo faccio mi ricordo che sono fragile, che ho paura del dopo, di cosa ci sarà alla fine di questo tunnel, perché questo cambiamento non l’ho deciso io, perché i cambiamenti che tanto mi affascinano sono quelli scelti e selezionati da me. Mi trovo a convivere con i dolori che solitamente mi ricordano le vacanze e il riposo: il mio problema di circolazione alle gambe che prende il sopravvento nel mese di agosto, perché mi voglio riposare da tutto, anche dall’attività fisica.

 

Adesso quello stesso dolore si è presentato inaspettatamente a marzo, continuerà ad aprile e magari fino a maggio.
Non so quanti altri giorni dovrò rimanere lontano dalle persone che amo, dai miei cari che ogni giorno mi salutano con calore dalla Sicilia, dai miei amici, dai miei colleghi, dalla mia dinamicità che mi accompagna a stare 14 ore al giorno fuori casa. Forse più che mai non tollero l’incertezza di come potrò vedere mutare le mie relazioni, la mia dinamicità, i miei pregi e i miei difetti alla fine di questo delirio che mi governa ogni giorno.
 

 

 

Tessere Equilibri con: Francesco Tulli

La nostra zattera
 

 

Si chiama Governare l’inatteso il libro interessantissimo di Karl E. Weick e Kathleen Sutclife che presenta casi concreti, soluzioni e proposte in tema di affidabilità organizzativa. Per me, che per tanti anni mi sono impegnato e ho provato a dare un contributo nelle aule e nelle attività di ricerca e consulenza sul tema della cultura di sicurezza, questo libro è un riferimento importantissimo.
 

Ma in questo momento, nel dramma che si sta consumando nel mondo, nel tempo sospeso che stiamo vivendo, in questa dimensione angosciante della ingovernabilità e dell’inatteso, questo titolo mi disorienta. La reazione emotiva è rabbia, ma preferisco scegliere un approccio più costruttivo. Mi aiuta tornare col pensiero al quadro La zattera della Medusa di Theodore Gericault, uno dei più grandi artisti dell’Ottocento francese.

La scena dipinta vuole stigmatizzare quel che accadde durante il naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania. Le cronache del tempo riportano che 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, mentre le 150 della ciurma dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 29 metri e larga 7. Di queste, solo 15 fecero ritorno a casa. Le cause del dramma furono attribuite a negligenze e decisioni affrettate del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che, oltre a non navigare da circa venticinque anni, non aveva una buona conoscenza di quelle acque, e questo portò la fregata a incagliarsi sul fondale sabbioso.
 

In certi momenti, come questo, mi sento come quel vecchio sulla zattera dipinto in atteggiamento pensoso, come se non riuscisse a darsi spiegazioni per quello che è successo. E penso che se lui trattiene il corpo del figlio per non farlo scivolare in mare, io cerco di trattenere i messaggi che mi hanno guidato nella attività professionale, come: l’individuazione e la gestione degli errori, la capacità previsionale, l’attenzione ai segnali deboli, la flessibilità nelle risposte… Ma rimango disorientato, smarrito e mi rendo conto che tutto questo non basta. Allora mi fermo.

 

Come salvarsi dalla zattera?

 

Fermandomi, “mi faccio raggiungere dall’anima” (un suggestivo invito alla consapevolezza tratto da un racconto africano) e così il mio spirito mi porta a immedesimarmi nel marinaio che sta cercando di segnalare la presenza della zattera alla nave Argus che è in lontananza.

 

Mi immagino sventolare un panno, la bandiera dell’idealità della sicurezza, di un valore che non si fa appiattire sul fatto burocratico o su istanze meramente adempitive.

 

Abbandono il tema a me caro della sicurezza sul lavoro, anche se è della nostra sicurezza stiamo parlando, per asserire che oggi dobbiamo essere come Jean Charles, il marinaio africano della zattera capace di guardare oltre, che sa vivere il dramma come occasione di cambiamento, come rifiuto del ritorno alla normalità se la normalità ci ha portato a non avere difese contro questo nemico che in questi giorni stiamo combattendo.

 
 
Penso sia importante che tutti noi possiamo sventolare questa bandiera perché (come dice il Tao) mai nessuno aprirà la porta al posto nostro.

 

 

 

Tessere Equilibri con: Jennifer Cataudella

Alla cortese attenzione del COVID-19.
Roma, 27/03/2020

Oggetto: elucubrazioni mentali.

Ti scrivo dalla mia cucina, mentre al seminario parlano di te, cercano di capirti e di capire come rapportarsi a te per… conoscerti? Contrastarti? Debellarti?
Ti scrivo dalla mia cucina, in casa mia, dove sono chiusa da diversi giorni, se è per colpa o merito tuo non l’ho ancora capito, anche al seminario le posizioni sembrano essere piuttosto contrastanti…
Poche settimane fa, non avrei trovato la situazione insolita, la mia introversione mista a un pizzico di ansia sociale, spesso mi hanno fatto godere dell’intimità della mia casa per lunghi periodi. Eppure oggi è diverso, perché questa condizione non è scelta, ma necessaria e trasforma in desiderio il rumore del vento, in passione il cielo, in orgasmo il calore del sole.
Nei rari momenti in cui sono uscita, ho sentito profumo di fiori; mi rincuora sapere che almeno la Primavera non è rinchiusa nella sua tana.
Le persone accanto a me – no, non accanto, in contatto con me – sono preoccupate per la propria salute, per il proprio lavoro, per i propri cari. Qualcuno si annoia e basta, trascina i piedi in giro per casa, aspettando che tu possa non essere più motivo di apprensione.
Ti scrivo perché non so che altro fare per togliermi di dosso questa coperta asfissiante tessuta con fili di “surrealtà”. Lavoro, leggo, suono il pianoforte, pulisco casa, mangio. E penso.
Penso a cosa sta generando in me questa tua presenza. La tua presenza, genera vuoto e mancanza, la mancanza della mia famiglia, dei miei colleghi, di persone che… chi lo avrebbe mai detto mi potessero mancare? Tu ci hai costretto a trovare nuovi modi per stare insieme, e sono nate le feste di compleanno virtuali, le cene a lume di screen, le video-conference di allineamento con i colleghi. Una video-conference in 12? Ieri sarebbe sembrata follia, oggi è la necessità di lavorare a distanza sinergica e desiderio di sentirsi ancora connessi.
Penso ai legami che, nella difficoltà e nel disagio, si sfibrano e a quelli che, invece, si rinsaldano.
Cosa accadrà, domani, a queste nuove versioni di noi stessi? Cosa lascerà il tuo passaggio su di noi e sulla nostra storia? E soprattutto, cosa ne sarà del desiderio di vicinanza che provo ora, quando essere separati è una costante… sopravvivrà in un mondo in cui toccarsi è possibile, o come Icaro precipiterà in mare per aver osato andare oltre?
Non sono mai stata predisposta a immaginare il futuro, ma vorrei che questa sensazione dolce e un po’ dolorosa di mancanza rimanesse con me, un’onda che si infrange in petto, con lo stesso fragore delle voci di chi manca.
Ti saluto da lontano.
Jennifer

Alla cortese attenzione
della Sig.ra che evidentemente
ha abbondanti scorte di vino in casa
Mondo, Sempre

Oggetto: grasse risate!
Guarda, in questi giorni mi sento più fico di Gesù! Ore e ore a parlare di me, per capire cosa sono, qual è il significato dietro al mio arrivo, il messaggio di cui sono portatore e come questo accadimento può essere interpretato!! Spassoso, esilarante, ho le lacrime agli occhi!
Dentro o fuori, sani o malati, a casa o a lavoro, niente è cambiato, siete fatti della medesima carne, di sangue e ossa …!! Eppure smarriti, vi aggirate a tentoni in una realtà che… è identica a prima! Siete voi, miei cari, a essere stati ciechi e orbi fino a pochi giorni fa! Ciechi e orbi incapaci di ribaltare il mondo, di capovolgere il cuore, di invertire i sensi fino a che il mondo non lo ha fatto per voi!
E se prima credevate di vedere ed eravate ciechi, ora vi sembra di parlare e siete muti! Vi pare di ascoltare? No! Siete sordi! Parole vuote rimbalzano tra le vostre strade vuote! Forse dovrà silenziarsi il mondo al posto vostro, per costringervi finalmente a prestare ascolto.
Tu mi parli di Icaro, del desiderio di vicinanza, ma non fu il desiderio a tradirlo, ma la cera con cui fissò le penne!
Scegli con cura il collante per le tue ali!!
E adesso smettetela di scocciarmi tutti quanti, che l’unico vero problema che avete è che non potete copulare come conigli.
Saluti virali,
Covid-19

 

Tessere Equilibri con: Lara Cesari

Quando ti prepari per il trasloco cominci a fare scatole. Dentro quei cartoni metti gli oggetti che hai raccolto in una vita. Quando chiudi quelle in cui metti i piatti, i bicchieri, i vasi, i lampadari, gli specchi, scrivi sopra FRAGILE, per far sì che chi le trasporta nella nuova casa, e tu stessa, le tratti con maggiore cura.

Oggi la parola FRAGILE la vedo scritta su di me, su di noi, sui portoni chiusi dei palazzi, sulle strade vuote, sui cappotti appesi che non indossi, sulle abitudini di ieri.

Tutto da maneggiare con cura.

E poi viene il giorno in cui le scatole si aprono per ricostruire la quiete della casa. Alcune cose si saranno rotte e non ci saranno più, altre prenderanno posti nuovi, diversi da dove gli occhi erano abituati a coglierli, altre ancora ne dovrai comprare, per sostituire i rotti, per rispondere a nuove esigenze e nuovi spazi. Ecco, oggi, sto un po’ così, come una scatola con sopra scritto FRAGILE… maneggiatemi con cura.

 

 

Tessere Equilibri con: Silvia Quondamstefano

La quarantena – lo spazio sospeso
Le giornate passate nel traffico mi sembrano un ricordo lontano e non mi mancano. Non mi manca la frenesia della gente, il mangiare di corsa, il lavoro stremante, le cose all’ultimo minuto. Non mi manca lo stress, l’alta performance, la rincorsa al risultato.

Riscopro il piacere della cena a casa, del bicchiere di vino sul divano, di una danza improvvisata nel salotto, del giocare insieme, del fare le cose lentamente.

Riscopro la gentilezza tra sconosciuti, di quando fai quel tanto di spazio che serve per far passare qualcuno che hai incrociato al banco della frutta, evitando reciprocamente di mettersi in pericolo “prego vai prima tu” e lì in quel momento ci si sorride con gli occhi, che gli occhi, quando sorridono si vedono bene anche se indossiamo una mascherina.

Mi prendo cura delle relazioni importanti, le tengo a distanza dalla solitudine peggiore che è quella emotiva: il sentire di non essere nella mente dell’altro, “Non puoi capire quanto mi fai felice che mi chiami tutti i giorni” mi dice nonna, prima non la chiamavo abbastanza, non c’era mai tempo. Riscopro l’importanza di ascoltare le emozioni, così come arrivano: ansia della malattia, paura di non farcela, stupore per tante novità, shock, sempre lo stesso, dei bollettini di chi non ce l’ha fatta e ha lasciato uno spazio vuoto.

Ho l’occhio allenato a cogliere indizi di meraviglie nel bel mezzo di una battaglia, il cuore forgiato a cogliere il peso delle emozioni controverse, la mente pronta a rimanere lucida piuttosto che farsi affogare. Questo perchè non sono sola, questa battaglia ci coinvolge tutti, ci unisce tutti, lo sento il calore da quei balconi, lo sento che siamo un tutt’uno, lo sento che siamo più vicini di quanto non lo fossimo mai stati prima.

 

 

Tessere Equilibri con: Alessandra Panaccione

Oggi siamo tutti tessitori di equilibri per noi stessi e gli altri, siamo nel “non più e non ancora”.

Che cosa accadrà dopo questa emergenza? Come sarà il mondo domani? Come saremo noi?

Tornare al centro delle nostre vite e sentirci di nuovo potenti e recuperare spazi di volontà e di scelta, ci aiuta ad affrontare l’emergenza e a gestire l’incertezza.
Raccontare e scrivere ci rimettono al centro del nostro progetto di vita e di futuro, delle nostre relazioni sociali, ci aiutano a comprendere ed elaborare, a stare in una prospettiva di passaggio, di transizione, di movimento verso il nostro domani.

Scrivere è terapeutico e generativo: ci aiuterà a passare oltre senza dimenticare, a ricordare senza dolore, a riconoscere come siamo cambiati, cosa abbiamo imparato. La scrittura trasforma frammenti di consapevolezza in un insieme organizzato, svela collegamenti perduti, ne genera di nuovi. Ricompone a mosaico le tessere della nostra esistenza. Raccontare è un contenitore generativo per tornare a immaginare il domani, a creare desideri di futuro.

Donare le nostre parole, esplorare le parole di altri, scambiare in una dimensione collettiva le nostre esperienze, renderà più facile il passaggio che siamo tutti chiamati ad attraversare.

Tessere equilibri significa condividere le nostre narrazioni, che rendono comprensibili i disagi e possibili i sogni, rivitalizzano la nostra rete sociale, commuovono, confortano, fanno sorridere, sorprendono, arricchiscono nella differenza delle prospettive sul presente e sul futuro.

Vi invitiamo a farlo insieme, a scegliere di vivere e non solo sopravvivere, ad utilizzare l’oggi per pensare insieme il dopo, per immaginare come sarà il nostro domani.

 

 

Per inviare il tuo contributo e partecipare al progetto,

scrivi a  Jennifer Cataudella j.cataudella@hxo.it

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