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Le Nostre Parole
Il manager generativo: le nuove abitudini
di Paola Pirri
Ogni manager ha una doppia anima, quella del manager produttivo, che guida il risultato e dà struttura alla persone per garantire realizzatività. E quella del manager generativo, che nel presidiare l’agire, il fare, ha lo sguardo al dopo, al costruire ora le premesse su cui il successo di un gruppo e di ogni singola persona si fonderà.
Nell’emergenza che abbiamo vissuto a livello globale la maggior parte dei manager ha reagito con un assetto produttivo. Abbiamo fatto i conti con il bisogno di agire, di dare struttura, di tenere sotto controllo le cose, di avere chiaro un piano d’azione. Abbiamo avuto bisogno di sentirci tonici nella nostra realizzatività e recuperare il senso del nostro ruolo. Questo ci ha consentito di presidiare l’incertezza e la produttività.
Tuttavia…
Le persone che guidiamo e coordiniamo hanno vissuto, come noi, un trauma; come noi hanno vissuto la sospensione della quotidianità consolidata (e la ricerca di una nuova quotidianità), hanno fatto i conti col carattere illusorio di quanto davano per scontato, hanno vissuto l’assenza, la rarefazione delle relazioni, la solitudine o al contrario la pressione di una vicinanza diversa ai propri familiari, per alcuni una splendida scoperta, per alcuni portatrice di dubbio e disorientamento.
Le persone ora hanno bisogno di essere guidate nel costruire un nuovo senso di sé, un nuovo senso di appartenenza, un nuovo modo di approcciarsi al lavoro. E hanno bisogno di sentirsi parte di un contesto lavorativo rinnovato, in cui non c’è una tensione a ristabilire un ordine noto, ma un desiderio diffuso di reinventarsi e disegnare diversi modi di interpretare i ruoli e gli obiettivi.
E’ l’occasione per costruire il mondo in cui vogliamo vivere, per fare i primi passi dentro la costruzione di uno scenario lavorativo sorprendentemente rivoluzionato. Se da un lato può apparire rassicurante rientrare in un ambiente che funziona in modo noto e prevedibile, che ripropone analoghe abitudini, dall’altro ciò farebbe sentire le persone dentro una simulazione di normalità, dentro una finzione.
Certo non possiamo rivoluzionare processi produttivi o sovvertire i rapporti fra ruoli o cambiare le regole, ma possiamo introdurre nella quotidianità eventi inediti per farli diventare nuove prassi, che ci facciano sentire e facciano sentire agli altri che una rivoluzione, ci è chiaro, è accaduta, che un trauma, ci è chiaro, lo abbiamo vissuto.
Dicevo che il manager ha una doppia anima: il manager produttivo è il nucleo vivo e solido di ciascuno di noi, che dà la garanzia di vivere in un ambiente che non è alla deriva e che ha struttura e organizzazione.
Il manager generativo è quello che si prende cura di: costruire autonomia e dare senso, far sentire le persone capaci di generare valore ed energia realizzativa, diffondere la dimensione del sogno e moltiplicare e custodire i legami. Quattro funzioni ora indispensabili. Vediamo queste quattro funzioni quali nuove abitudini ci suggeriscono.
La prima: come manager generativo possiamo rinunciare al controllo ravvicinato, al presidio costante e all’iperconnessione, perché vogliamo liberare autonomia. Non ci limitiamo a dare compiti ma ne esploriamo il senso, traghettiamo le persone al come iniziando dal perché. Nella quotidianità, anche se faremmo prima a dire “fai così”, introduciamo la lentezza del coinvolgimento.
Come? Quando assegniamo un compito, aggiungiamo parole per dichiararne il senso complessivo, per far vedere alle persone gli impatti che il lavoro ha sul sistema, diamo obiettivi e soprattutto dichiariamo esplicitamente perché stiamo chiedendo questo proprio a lui, per quale sua distintività, per quale sua particolare capacità ci affidiamo a lui. Ecco, usiamo di più la parola “mi affido a te”, e specifichiamo perché.
Non siamo pigri: non basta dire “perché sei preciso, affidabile o hai esperienza”, no, non basta. Facciamo uno sforzo e utilizziamo una consegna per nutrire la persona del suo valore più vero: mi affido a te per realizzare questo obiettivo perché sai prendere decisioni dopo averle ponderate a fondo, perché sai trovare soluzioni inedite, perché sai coinvolgere gli altri e farli sentire importanti.
Coinvolgiamo le persone nella definizione dei passi operativi. So bene che si fa prima a fare da soli, il coinvolgimento non è mai, apparentemente, al servizio dell’efficienza, comunque non nel breve termine. Anche se sappiamo bene cosa va fatto, come e con quali risorse, apriamo ad altri la partecipazione al processo di pensiero, ideazione, decisione. Avremo dato così un grande contributo a generare autonomia e a dare senso.
Seconda cosa: Come manager generativo non diamo modelli e standard di riferimento cui adattarsi ma creiamo negli altri la capacità generativa, costruendone la stimabilità, rivelandone la bellezza, offrendo loro occasioni di successo, sollecitando libertà di espressione, rendendo il contesto forgiabile.
Quali sono le nuove abitudini che possiamo introdurre? La prima è dare alle persone occasioni per raccontarsi. Facciamo loro domande e restiamo in ascolto, senza giudizi o consigli, ma possibilmente in un silenzio attento: quale vecchia abitudine vuoi lasciare andare, quale nuova abitudine vuoi preservare per il futuro, quali valori hai riscoperto, quale motivo di sofferenza pervade la tua vita ora, cosa hai scoperto dei tuoi figli, cosa hai scoperto di te che non sapevi.
Un’altra nuova abitudine, cruciale, è svelare agli altri la loro bellezza: dimentichiamo l’imbarazzo che questa abitudine porta con sé, dimentichiamo di mantenerci sulla difensiva rispetto alla prossimità che questo produce, dimentichiamo il giudizio, il “avresti dovuto fare così”, “la prossima volta è meglio se fai così”, “sei sempre il solito ritardatario”.
Le persone hanno bisogno di recuperare il senso di sé, non possiamo più permetterci di darlo per scontato: se vogliamo fare una critica, ci sforzeremo di individuare da quale talento della persona quel comportamento da modificare è generato. Vogliamo dire a qualcuno che è approssimativo? Lo sorprenderemo dicendo che la sua ecletticità o la sua creatività, o il suo bisogno di trovare sempre nuovi modi per fare le cose e per stupire, lo porta a considerare superflui alcuni dettagli che quindi rischia di trascurare, portando alla fine un lavoro con molti errori.
Cerchiamo quante più occasioni per essere specchio degli altri, aiutiamoli a ricomporre un’immagine di sé solida e ricca. Per farlo è fondamentale non dare nulla per scontato, dirlo, narrarlo. Usate metafore, simboli, immagini, perché sono universali e dicono alle persone di sé molte più cose di tante parole: sei una tavola imbandita, sei una fontana fresca in un torrido giorno d’estate, sei una poltrona davanti a un fuoco acceso e poi spiegategli perché, come vi fa sentire.
La terza funzione del manager generativo è diffondere il sogno. Non ci limitiamo a presidiare la sostenibilità e le priorità del qui e ora, facciamo vivere le persone nel tempo della ricostruzione e del futuro: trasmettiamo ottimismo, fiducia nella loro capacità di farcela, coinvolgiamole nell’immaginare il futuro.
Le nuove abitudini riguardano la richiesta di idee per rinnovare alcuni processi o regole e introdurre innovazioni, portare momenti di lievità e divertimento, cerchiamo la parte ottimistica e la speranza, cerchiamo occasioni per sfidare e chiedere contributi difficili e complessi, celebriamo i successi e accogliamo gli insuccessi come occasioni.
E’ il tempo, oggi più che mai, di usare gli errori come occasioni di apprendimento, di sposare il linguaggio del “va bene così”, di trasmettere il valore della difettosità come opportunità per cambiare ciò che non funziona. Diffondere il sogno significa anche compiere una grande rivoluzione semantica, rinunciando ai doverismi: devi diventa puoi, devo diventa voglio.
Questo comporta un impegno significativo, perché modifica le fondamenta del linguaggio professionale, basato sul senso del dovere come valore. Il manager generativo sa che il senso del dovere, quello profondo, quello che ha a che fare con la motivazione e l’ingaggio, è fondato su una reale autocommittenza, non sull’obbedienza, e per diffonderlo e promuoverlo rinuncia a usare il linguaggio prescrittivo, in cui le parole chiave sono devi, avresti dovuto, dobbiamo, devo, per aprirsi a un codice arioso, fondato sulle possibilità, le opportunità, i desideri, i bisogni, e in cui le parole chiave sono voglio, desidero, puoi, aspiriamo, possiamo, cerchiamo, sognamo.
Quarta e ultima cosa: custodiamo i legami, degli altri con noi ma anche fra loro, siamo presenti ma non presenzialisti, impariamo a riconoscere quanto siano preziosi i legami fra le persone, sollecitiamoli, organizziamo il lavoro in modo che le persone possano incontrarsi, aiutarsi reciprocamente, cogliere quanto ognuno degli altri sia una risorsa per sè.
Incontriamo le persone, diventando ancora più accessibili, ma anche invitiamo le persone a tessere relazioni potenti fra loro, senza sentircene esclusi. Diamo valore al networking, a costruire nuove relazioni significative interne ed esterne al gruppo, facciamolo in prima persona e soprattutto incoraggiamo gli altri a farlo. Custodire i legami significa anche astenersi dal chiedere di uniformarsi a un modello unico di comportamento o di approccio al lavoro, essere inclusivi nel valorizzare le sfaccettature con cui ciascuno interpreta il proprio ruolo. Il manager generativo non chiede omologazione, favorisce il dissenso, lo accoglie, poiché sa che il consenso è frutto di confronto e divergenza, di intelligenza, non di compiacenza.
Guidiamo la transizione, questo ennesimo “non più e non ancora” che la vita professionale e l’intera esistenza ci propone. Agire oggi solo come manager produttivo, che dà struttura, compiti chiari, controlla e decide significa ottenere adattamento e ottemperanza. Agire come manager generativo e le sue nuove abitudini significa far germogliare un progetto di ricostruzione delle identità individuali e collettive.
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organizzazione puoi scrivere a Francesca Sollazzo f.sollazzo@hxo.it
Nell’emergenza che abbiamo vissuto a livello globale la maggior parte dei manager ha reagito con un assetto produttivo. Abbiamo fatto i conti con il bisogno di agire, di dare struttura, di tenere sotto controllo le cose, di avere chiaro un piano d’azione. Abbiamo avuto bisogno di sentirci tonici nella nostra realizzatività e recuperare il senso del nostro ruolo. Questo ci ha consentito di presidiare l’incertezza e la produttività.
Tuttavia…
Le persone che guidiamo e coordiniamo hanno vissuto, come noi, un trauma; come noi hanno vissuto la sospensione della quotidianità consolidata (e la ricerca di una nuova quotidianità), hanno fatto i conti col carattere illusorio di quanto davano per scontato, hanno vissuto l’assenza, la rarefazione delle relazioni, la solitudine o al contrario la pressione di una vicinanza diversa ai propri familiari, per alcuni una splendida scoperta, per alcuni portatrice di dubbio e disorientamento.
Le persone ora hanno bisogno di essere guidate nel costruire un nuovo senso di sé, un nuovo senso di appartenenza, un nuovo modo di approcciarsi al lavoro. E hanno bisogno di sentirsi parte di un contesto lavorativo rinnovato, in cui non c’è una tensione a ristabilire un ordine noto, ma un desiderio diffuso di reinventarsi e disegnare diversi modi di interpretare i ruoli e gli obiettivi.
E’ l’occasione per costruire il mondo in cui vogliamo vivere, per fare i primi passi dentro la costruzione di uno scenario lavorativo sorprendentemente rivoluzionato. Se da un lato può apparire rassicurante rientrare in un ambiente che funziona in modo noto e prevedibile, che ripropone analoghe abitudini, dall’altro ciò farebbe sentire le persone dentro una simulazione di normalità, dentro una finzione.
Certo non possiamo rivoluzionare processi produttivi o sovvertire i rapporti fra ruoli o cambiare le regole, ma possiamo introdurre nella quotidianità eventi inediti per farli diventare nuove prassi, che ci facciano sentire e facciano sentire agli altri che una rivoluzione, ci è chiaro, è accaduta, che un trauma, ci è chiaro, lo abbiamo vissuto.
Dicevo che il manager ha una doppia anima: il manager produttivo è il nucleo vivo e solido di ciascuno di noi, che dà la garanzia di vivere in un ambiente che non è alla deriva e che ha struttura e organizzazione.
Il manager generativo è quello che si prende cura di: costruire autonomia e dare senso, far sentire le persone capaci di generare valore ed energia realizzativa, diffondere la dimensione del sogno e moltiplicare e custodire i legami. Quattro funzioni ora indispensabili. Vediamo queste quattro funzioni quali nuove abitudini ci suggeriscono.
La prima: come manager generativo possiamo rinunciare al controllo ravvicinato, al presidio costante e all’iperconnessione, perché vogliamo liberare autonomia. Non ci limitiamo a dare compiti ma ne esploriamo il senso, traghettiamo le persone al come iniziando dal perché. Nella quotidianità, anche se faremmo prima a dire “fai così”, introduciamo la lentezza del coinvolgimento.
Come? Quando assegniamo un compito, aggiungiamo parole per dichiararne il senso complessivo, per far vedere alle persone gli impatti che il lavoro ha sul sistema, diamo obiettivi e soprattutto dichiariamo esplicitamente perché stiamo chiedendo questo proprio a lui, per quale sua distintività, per quale sua particolare capacità ci affidiamo a lui. Ecco, usiamo di più la parola “mi affido a te”, e specifichiamo perché.
Non siamo pigri: non basta dire “perché sei preciso, affidabile o hai esperienza”, no, non basta. Facciamo uno sforzo e utilizziamo una consegna per nutrire la persona del suo valore più vero: mi affido a te per realizzare questo obiettivo perché sai prendere decisioni dopo averle ponderate a fondo, perché sai trovare soluzioni inedite, perché sai coinvolgere gli altri e farli sentire importanti.
Coinvolgiamo le persone nella definizione dei passi operativi. So bene che si fa prima a fare da soli, il coinvolgimento non è mai, apparentemente, al servizio dell’efficienza, comunque non nel breve termine. Anche se sappiamo bene cosa va fatto, come e con quali risorse, apriamo ad altri la partecipazione al processo di pensiero, ideazione, decisione. Avremo dato così un grande contributo a generare autonomia e a dare senso.
Seconda cosa: Come manager generativo non diamo modelli e standard di riferimento cui adattarsi ma creiamo negli altri la capacità generativa, costruendone la stimabilità, rivelandone la bellezza, offrendo loro occasioni di successo, sollecitando libertà di espressione, rendendo il contesto forgiabile.
Quali sono le nuove abitudini che possiamo introdurre? La prima è dare alle persone occasioni per raccontarsi. Facciamo loro domande e restiamo in ascolto, senza giudizi o consigli, ma possibilmente in un silenzio attento: quale vecchia abitudine vuoi lasciare andare, quale nuova abitudine vuoi preservare per il futuro, quali valori hai riscoperto, quale motivo di sofferenza pervade la tua vita ora, cosa hai scoperto dei tuoi figli, cosa hai scoperto di te che non sapevi.
Un’altra nuova abitudine, cruciale, è svelare agli altri la loro bellezza: dimentichiamo l’imbarazzo che questa abitudine porta con sé, dimentichiamo di mantenerci sulla difensiva rispetto alla prossimità che questo produce, dimentichiamo il giudizio, il “avresti dovuto fare così”, “la prossima volta è meglio se fai così”, “sei sempre il solito ritardatario”.
Le persone hanno bisogno di recuperare il senso di sé, non possiamo più permetterci di darlo per scontato: se vogliamo fare una critica, ci sforzeremo di individuare da quale talento della persona quel comportamento da modificare è generato. Vogliamo dire a qualcuno che è approssimativo? Lo sorprenderemo dicendo che la sua ecletticità o la sua creatività, o il suo bisogno di trovare sempre nuovi modi per fare le cose e per stupire, lo porta a considerare superflui alcuni dettagli che quindi rischia di trascurare, portando alla fine un lavoro con molti errori.
Cerchiamo quante più occasioni per essere specchio degli altri, aiutiamoli a ricomporre un’immagine di sé solida e ricca. Per farlo è fondamentale non dare nulla per scontato, dirlo, narrarlo. Usate metafore, simboli, immagini, perché sono universali e dicono alle persone di sé molte più cose di tante parole: sei una tavola imbandita, sei una fontana fresca in un torrido giorno d’estate, sei una poltrona davanti a un fuoco acceso e poi spiegategli perché, come vi fa sentire.
La terza funzione del manager generativo è diffondere il sogno. Non ci limitiamo a presidiare la sostenibilità e le priorità del qui e ora, facciamo vivere le persone nel tempo della ricostruzione e del futuro: trasmettiamo ottimismo, fiducia nella loro capacità di farcela, coinvolgiamole nell’immaginare il futuro.
Le nuove abitudini riguardano la richiesta di idee per rinnovare alcuni processi o regole e introdurre innovazioni, portare momenti di lievità e divertimento, cerchiamo la parte ottimistica e la speranza, cerchiamo occasioni per sfidare e chiedere contributi difficili e complessi, celebriamo i successi e accogliamo gli insuccessi come occasioni.
E’ il tempo, oggi più che mai, di usare gli errori come occasioni di apprendimento, di sposare il linguaggio del “va bene così”, di trasmettere il valore della difettosità come opportunità per cambiare ciò che non funziona. Diffondere il sogno significa anche compiere una grande rivoluzione semantica, rinunciando ai doverismi: devi diventa puoi, devo diventa voglio.
Questo comporta un impegno significativo, perché modifica le fondamenta del linguaggio professionale, basato sul senso del dovere come valore. Il manager generativo sa che il senso del dovere, quello profondo, quello che ha a che fare con la motivazione e l’ingaggio, è fondato su una reale autocommittenza, non sull’obbedienza, e per diffonderlo e promuoverlo rinuncia a usare il linguaggio prescrittivo, in cui le parole chiave sono devi, avresti dovuto, dobbiamo, devo, per aprirsi a un codice arioso, fondato sulle possibilità, le opportunità, i desideri, i bisogni, e in cui le parole chiave sono voglio, desidero, puoi, aspiriamo, possiamo, cerchiamo, sognamo.
Quarta e ultima cosa: custodiamo i legami, degli altri con noi ma anche fra loro, siamo presenti ma non presenzialisti, impariamo a riconoscere quanto siano preziosi i legami fra le persone, sollecitiamoli, organizziamo il lavoro in modo che le persone possano incontrarsi, aiutarsi reciprocamente, cogliere quanto ognuno degli altri sia una risorsa per sè.
Incontriamo le persone, diventando ancora più accessibili, ma anche invitiamo le persone a tessere relazioni potenti fra loro, senza sentircene esclusi. Diamo valore al networking, a costruire nuove relazioni significative interne ed esterne al gruppo, facciamolo in prima persona e soprattutto incoraggiamo gli altri a farlo. Custodire i legami significa anche astenersi dal chiedere di uniformarsi a un modello unico di comportamento o di approccio al lavoro, essere inclusivi nel valorizzare le sfaccettature con cui ciascuno interpreta il proprio ruolo. Il manager generativo non chiede omologazione, favorisce il dissenso, lo accoglie, poiché sa che il consenso è frutto di confronto e divergenza, di intelligenza, non di compiacenza.
Guidiamo la transizione, questo ennesimo “non più e non ancora” che la vita professionale e l’intera esistenza ci propone. Agire oggi solo come manager produttivo, che dà struttura, compiti chiari, controlla e decide significa ottenere adattamento e ottemperanza. Agire come manager generativo e le sue nuove abitudini significa far germogliare un progetto di ricostruzione delle identità individuali e collettive.