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Le Nostre Parole
Il piacere della gratitudine
Voglio dedicare alla Gratitudine un tributo, forse per ribellione, senz’altro per invertire la tendenza dell’immagine che le viene data, per non rassegnarci alla delusione, al rancore e alla “di-speranza”. La gratitudine, occorre dire, non se la sta passando proprio bene… per egoismo, distanza, indifferenza, narcisismo.
È molto bistrattata, anche per il conformismo con la grande bugia che pervade il nostro tempo, il mito dell’indipendenza, dell’autonomia; un mito della libertà che porta a pensare che la vita si fa da sé non tenendo conto degli altri in una applicazione deviata della visione vincente di Ikea e dimenticando che fin dalla nascita dobbiamo qualcosa al dono dei nostri genitori, portiamo il nome di un altro e quando siamo chiamati a parlare di noi non facciamo altro che parlare dei nostri rapporti.
Contro questa falsità del farsi da sé, voglio riscoprire il senso delle Humanities e la capacità traspositiva e trasformativa della nostra X: ricordando Aristotele. O meglio le parole del filosofo di Stagira usate dagli psicoanalisti Miguel Benasayag e Gerard Schmit per criticare l’approccio dominante sull’autonomia (L’epoca delle passioni tristi, 2004, Milano, Feltrinelli):
“lo schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri, verso la città e verso il luogo in cui vive”.
Con una modalità sconcertante, la nostra società è riuscita a costruire un ideale di libertà del tutto simile alla vita dello schiavo. Per Aristotele quindi sono i legami che ci rendono liberi.
“I legami non sono limiti del’Io, ma ciò che conferisce potenza alla mia libertà e al mio essere”.
Per costruire legami potenti, è necessario coltivare le virtù come “forza di essere migliori” (cit. Vito Mancuso), come nostre disposizioni d’animo, come dimensioni interne che guidano le scelte. Come forza, come abilità, come misura. La nostra stessa leadership dovrebbe svilupparsi sulle virtù. E tra queste virtù: la gratitudine e il magico potere di sentirsi grati.
Gratitudine per me è presenza, è l’essere presenti con l’altro. Per spiegarmi meglio, scelgo di raccontartela attraverso dei simboli. Gli stessi simboli usati nel nostro incontro di inizio anno e di brindisi al 2020.
Vedo la candela, come spazio di silenzio e di ancoraggio con se stessi e con la comunità; la mano sulla spalla, come vicinanza con l’altro; il vino, come reciprocità di doni, gratitudine della Terra che ci fa il suo dono e il nostro grazie per averlo ricevuto e poterne godere.
Allena la gratitudine:
• Non dimenticare di dire grazie. La gratitudine è presenza verso noi stessi e verso gli altri.
• Fai del bene e scordatelo. “Io do moltissimo ma non mi ritorna mai niente”. Quanto siamo autentici quando ci aspettiamo la gratitudine degli altri? La gratitudine va oltre la buona educazione e l’automatismo della risposta. Aspettarsi la gratitudine è la via più efficace per allontanare la gratitudine degli altri.
• Evita la strategia dei debiti e dei crediti. Mostrarti grato non significa sentirti in debito.
• Coltiva con uno sguardo di apprezzamento quello che ti circonda, guarda quello che hai, non darlo per scontato e pensa a come vivresti senza.
• Fatti aiutare dalla tecnologia: Internet è pieno di suggerimenti. Puoi trovare app che ti permettono di elencare 5 ragioni di gratitudine quotidiana, dal complimento inaspettato, al profumo del caffè, al mazzo di fiori comprato tornando a casa.
• Se sei analogico, prendi carta e penna e scrivi quanto sei riconoscente per quello che hai avuto, accorgiti del bello che ti circonda. Scopri il potere della bellezza guardandoti intorno e guardandoti dentro.
• Cerca consapevolezza. Ti occorre sapere chi sei e dove sei per capire di che cosa essere grato.
Io sono grato a Lao Tse perché ci ricorda che “la gratitudine è la memoria del cuore”.
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Per maggiori informazioni sul percorso formativo a distanza attivabile
da HXO Srl per le persone della tua organizzazione puoi scrivere
a Francesca Sollazzo f.sollazzo@hxo.it
Voglio dedicare alla Gratitudine un tributo, forse per ribellione, senz’altro per invertire la tendenza dell’immagine che le viene data, per non rassegnarci alla delusione, al rancore e alla “di-speranza”. La gratitudine, occorre dire, non se la sta passando proprio bene… per egoismo, distanza, indifferenza, narcisismo.
È molto bistrattata, anche per il conformismo con la grande bugia che pervade il nostro tempo, il mito dell’indipendenza, dell’autonomia; un mito della libertà che porta a pensare che la vita si fa da sé non tenendo conto degli altri in una applicazione deviata della visione vincente di Ikea e dimenticando che fin dalla nascita dobbiamo qualcosa al dono dei nostri genitori, portiamo il nome di un altro e quando siamo chiamati a parlare di noi non facciamo altro che parlare dei nostri rapporti.
Contro questa falsità del farsi da sé, voglio riscoprire il senso delle Humanities e la capacità traspositiva e trasformativa della nostra X: ricordando Aristotele. O meglio le parole del filosofo di Stagira usate dagli psicoanalisti Miguel Benasayag e Gerard Schmit per criticare l’approccio dominante sull’autonomia (L’epoca delle passioni tristi, 2004, Milano, Feltrinelli):
“lo schiavo è colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L’uomo libero invece è colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri, verso la città e verso il luogo in cui vive”.
Con una modalità sconcertante, la nostra società è riuscita a costruire un ideale di libertà del tutto simile alla vita dello schiavo. Per Aristotele quindi sono i legami che ci rendono liberi.
“I legami non sono limiti del’Io, ma ciò che conferisce potenza alla mia libertà e al mio essere”.
Per costruire legami potenti, è necessario coltivare le virtù come “forza di essere migliori” (cit. Vito Mancuso), come nostre disposizioni d’animo, come dimensioni interne che guidano le scelte. Come forza, come abilità, come misura. La nostra stessa leadership dovrebbe svilupparsi sulle virtù. E tra queste virtù: la gratitudine e il magico potere di sentirsi grati.
Gratitudine per me è presenza, è l’essere presenti con l’altro. Per spiegarmi meglio, scelgo di raccontartela attraverso dei simboli. Gli stessi simboli usati nel nostro incontro di inizio anno e di brindisi al 2020.
Vedo la candela, come spazio di silenzio e di ancoraggio con se stessi e con la comunità; la mano sulla spalla, come vicinanza con l’altro; il vino, come reciprocità di doni, gratitudine della Terra che ci fa il suo dono e il nostro grazie per averlo ricevuto e poterne godere.
Allena la gratitudine:
• Non dimenticare di dire grazie. La gratitudine è presenza verso noi stessi e verso gli altri.
• Fai del bene e scordatelo. “Io do moltissimo ma non mi ritorna mai niente”. Quanto siamo autentici quando ci aspettiamo la gratitudine degli altri? La gratitudine va oltre la buona educazione e l’automatismo della risposta. Aspettarsi la gratitudine è la via più efficace per allontanare la gratitudine degli altri.
• Evita la strategia dei debiti e dei crediti. Mostrarti grato non significa sentirti in debito.
• Coltiva con uno sguardo di apprezzamento quello che ti circonda, guarda quello che hai, non darlo per scontato e pensa a come vivresti senza.
• Fatti aiutare dalla tecnologia: Internet è pieno di suggerimenti. Puoi trovare app che ti permettono di elencare 5 ragioni di gratitudine quotidiana, dal complimento inaspettato, al profumo del caffè, al mazzo di fiori comprato tornando a casa.
• Se sei analogico, prendi carta e penna e scrivi quanto sei riconoscente per quello che hai avuto, accorgiti del bello che ti circonda. Scopri il potere della bellezza guardandoti intorno e guardandoti dentro.
• Cerca consapevolezza. Ti occorre sapere chi sei e dove sei per capire di che cosa essere grato.
Io sono grato a Lao Tse perché ci ricorda che “la gratitudine è la memoria del cuore”.
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