BLOG
Le Nostre Parole
Dallo slang
alla lingua madre.
La nuova semantica
digitale
di Paola Pirri
e Lara Cesari
Dallo slang che anestetizza le emozioni alla lingua madre che le esplora e le custodisce.
News
Domani abbiamo il meeting in room 16, building 1, per definire timeline da presentare al board per avere commitment. Fai un refresh prima del briefing, senza spoilerare ma proprio come reminding della deadline definita in call. Prima di deliverare il training allo staff dobbiamo matchare per fare check dei singoli step. Poi possiamo flaggare e splittare il contest.
Dai che siamo cool!
Esageriamo? Non hai mai sentito conversazioni di questo tono in azienda? Sei fortunato. Ci sono persone che parlano così e che pensano anche di essere capite.
Certamente, è vero che in certe aziende l’inglese rappresenta un codice condiviso, è la lingua che permette di interagire con colleghi lontani, il senso di appartenenza passa attraverso la sua conoscenza. Tuttavia non è richiesto il fritto misto di parole a cui spesso assistiamo nelle nostre italiche organizzazioni, l’ingliano, una interpretazione provinciale che diviene lingua ibrida e decisamente poco feconda in termini di coinvolgimento, ispirazione e inclusione.
Chi la usa si allontana emotivamente da ciò che dice, compie un tentativo di narcosi del sentire, di disconnessione del linguaggio dalle emozioni, negandole. Un’operazione, questa, contraria all’espressione d’intelligenza emotiva.
Nelle relazioni professionali le emozioni circolano continuamente, è necessario riconoscerle, leggerle, avvicinarle e con esse comprendere meglio il contesto che le genera.
Le emozioni sono profondamente legate al linguaggio madre, sono accese da parole che hanno il potere di farlo, quelle che possono evocare sensazioni, ricordi e che possono far vibrare le corde della sensibilità. Pensiamo alla potenza di certe espressioni dialettali, alla forza di un accento.
Fra le espressioni evocative non ci sono termini presi in prestito da un’altra lingua, perché il loro apprendimento è frutto di un processo razionale che lascia neutri, omologati, poco coinvolti, privi di pathos.
Dentro questo slang organizzativo c’è anche un certo snobismo che scoraggia l’inclusione, usando certi termini attestiamo di essere parte di una élite esclusiva che condivide significati ignoti ai più.
Se vogliamo ispirare, coinvolgere, includere è importante scegliere parole radicate nella lingua madre, provare a limitare gli inglesismi alle parole che non hanno una corrispondenza altrettanto chiara in italiano, scegliere termini densi, profondi, evocativi, rinunciare al gergo escludente che inibisce l’armonia data dall’autenticità.
Finalmente!
Domani abbiamo la riunione per scrivere insieme l’agenda da presentare al consiglio di amministrazione per fondare consenso e fiducia. Ci troviamo nella sala 16 del palazzo 1. Penso sia utile una breve relazione che prepari all’incontro ricordando le scadenze definite durante l’ultima riunione, senza anticipare la discussione; mi piace l’idea che le persone arrivino vergini all’appuntamento. Prima di realizzare il percorso di formazione avremo bisogno di fare controlli analitici di ogni passaggio. Poi potremo dare avvio alle diverse iniziative. Sarà veramente un successo!
Leggi tutti gli articoli della nuova semantica digitale sul Blog: Le Nostre Parole
Per maggiori informazioni sul percorso formativo a distanza
attivabile da HXO Srl per le persone della tua
organizzazione puoi scrivere a Francesca Sollazzo f.sollazzo@hxo.it
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Dai che siamo cool!
Esageriamo? Non hai mai sentito conversazioni di questo tono in azienda? Sei fortunato. Ci sono persone che parlano così e che pensano anche di essere capite.
Certamente, è vero che in certe aziende l’inglese rappresenta un codice condiviso, è la lingua che permette di interagire con colleghi lontani, il senso di appartenenza passa attraverso la sua conoscenza. Tuttavia non è richiesto il fritto misto di parole a cui spesso assistiamo nelle nostre italiche organizzazioni, l’ingliano, una interpretazione provinciale che diviene lingua ibrida e decisamente poco feconda in termini di coinvolgimento, ispirazione e inclusione.
Chi la usa si allontana emotivamente da ciò che dice, compie un tentativo di narcosi del sentire, di disconnessione del linguaggio dalle emozioni, negandole. Un’operazione, questa, contraria all’espressione d’intelligenza emotiva.
Nelle relazioni professionali le emozioni circolano continuamente, è necessario riconoscerle, leggerle, avvicinarle e con esse comprendere meglio il contesto che le genera.
Le emozioni sono profondamente legate al linguaggio madre, sono accese da parole che hanno il potere di farlo, quelle che possono evocare sensazioni, ricordi e che possono far vibrare le corde della sensibilità. Pensiamo alla potenza di certe espressioni dialettali, alla forza di un accento.
Fra le espressioni evocative non ci sono termini presi in prestito da un’altra lingua, perché il loro apprendimento è frutto di un processo razionale che lascia neutri, omologati, poco coinvolti, privi di pathos.
Dentro questo slang organizzativo c’è anche un certo snobismo che scoraggia l’inclusione, usando certi termini attestiamo di essere parte di una élite esclusiva che condivide significati ignoti ai più.
Se vogliamo ispirare, coinvolgere, includere è importante scegliere parole radicate nella lingua madre, provare a limitare gli inglesismi alle parole che non hanno una corrispondenza altrettanto chiara in italiano, scegliere termini densi, profondi, evocativi, rinunciare al gergo escludente che inibisce l’armonia data dall’autenticità.
Finalmente!
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