BLOG
Le Nostre Parole
Dal Devi al Puoi.
La nuova semantica
digitale
di Paola Pirri
e Lara Cesari
Domanda: esiste una app, tipo contapassi, che ci dica quante volte al giorno usiamo la parola “devi”?
Sarebbe un personal trainer ineguagliabile!
Non devi mettere le dita nella presa della corrente, devi mangiare lentamente, devi fare i compiti, non devi rispondere male all’insegnante, prima il dovere poi il piacere, devi prendere un bel voto, devi trovare lavoro, devi fare un bel progetto, devi rispondere alle mail, devi.
Lungo tutta l’età evolutiva e oltre abbiamo familiarizzato con la dimensione esistenziale del dovere, sia nel nostro dialogo interno sia nelle relazioni con altri.
E il dovere diventa bussola, sprone, stimolo all’efficienza, esortazione, sollecitazione. Ma diventa anche il primario ancoraggio a una semantica dell’obbedienza, della compiacenza, della dipendenza, poiché ingabbia la persona a una risponditività esecutiva, le sottrae ogni possibilità di sviluppare una piena committenza, le impedisce l’ariosità del desiderare e del crederci.
Il dovere è un accessibile sostituto di una richiesta: ho bisogno di chiederti un aiuto, diventa facilmente devo chiederti un aiuto; desidero che tu elabori un’idea, diventa rapidamente devi elaborare un’idea; mi piacerebbe tu prendessi la parola nelle riunioni, diventa comodamente devi prendere la parola nelle riunioni.
Pensiamo alla rivoluzione che potremmo avere in una singola relazione se decidessimo di sostituire sistematicamente la parola devi (dovresti, dovremmo, dobbiamo, devo) con un desiderio, una domanda, una piena esposizione di un nostro bisogno, riconoscendolo come tale: la relazione si aprirebbe a una piena reciprocità e al mutuo scambio, a un bisogno corrisponderebbe una richiesta che lascia l’altro libero di valutare la necessità di saperne di più ovvero di decidere se corrispondere al desiderio espresso, si abbandonerebbe l’equilibrio asimmetrico di una relazione top-down, si supererebbe lo schema comando-controllo che impoverisce lo scambio fra intelligenze e si traduce in mera compiacenza.
Non si tratta solo di evitare di dire devi, poiché anche quando il dovere è un parametro semantico implicito, danneggia l’intensità e la significatività di una relazione; se il pensiero della relazione con l’altro è fondato su un doverismo di fondo, sull’attesa che l’altro corrisponda un’esigenza, nasce quel tragico sistema di debiti e crediti che la trappola dell’obbedienza o della disobbedienza alimenta; ne conseguono pochi spazi di discrezionalità e un definitivo impantanamento nel giudizio e nella valutazione dicotomica di adeguatezza o inadeguatezza a ciò che ci si aspettava l’altro facesse.
Il dovere è un’ingiunzione illusoriamente orientata all’efficienza: costruire un messaggio intorno al dovere è rapido, chiaro, diretto, immediato; ma non tiene conto dell’ingaggio, del senso di autoefficacia che l’altro ha, del suo intimo crederci e del suo intimo desiderarlo.
Immaginiamo di voler esortare una persona che si è tolta il gesso a muovere il braccio: devi muoverlo altrimenti la muscolatura… Oppure un ragazzino a fare i compiti anziché giocare con qualche diavoleria elettronica: devi fare i compiti e smettere di giocare…
Certamente il doverismo ci rende apparentemente molto efficienti nel trasmettere il nostro messaggio, ma cosa otteniamo? Motivazione? Coinvolgimento? Autonomia realizzativa?
È più faticoso programmare una fisioterapia per il braccio del nostro amico e più dispendioso innescare il riconoscimento della propria ambizione nel nostro ragazzino, soprattutto perché ci dovremo profondamente e personalmente implicare nei percorsi e non basterà un devi. Tuttavia otterremo risultati sia sul problema contingente sia nel lungo termine con incommensurabile efficienza sistemica.
Il dovere è la sottrazione della possibilità di scegliere, poiché lascia all’altro (o a noi stessi nel nostro dialogo interiore) solo due strettissime possibilità: obbedire o disobbedire, compiacere o deludere, cedere o opporsi.
Lo sforzo del lasciare andare il dovere è corrisposto da una grande opportunità: quella di rivelare alla persona gli impatti del suo agire e pensare per permetterle di valutare autonomamente quale strada percorrere.
Pensiamo ad esempio di voler chiedere a qualcuno di fare più attenzione agli errori dei progetti o dei report o dei documenti che invia. Abbiamo già deciso che non ci basta più semplicemente dirgli “devi fare meno errori” quindi ci impegneremo a rivelargli l’effetto che i suoi errori hanno sul sistema organizzativo, sul team, su di noi o sulla sua stessa reputazione: quando consegni un progetto con tanti errori sicuramente risparmi il tempo necessario all’ultima rilettura e all’ultima verifica; i tuoi progetti sono talmente complessi e innovativi che abbiamo bisogno di proteggerne la validità agli occhi di chi, capo o cliente, li leggerà quando usciranno dal nostro gruppo; scegli di volta in volta se preferisci tutelare il tuo tempo rischiando che i destinatari finali possano svalutare il tuo lavoro o impiegare del tempo per verificare l’accuratezza dei dettagli.
La parola amica è “scegli” e intorno a essa possiamo costruire un modo nuovo per chiedere, suggerire, sollecitare.
Infine il dovere annulla il potere, lo sostituisce indebitamente, indebolendo l’implicazione della persona, i suoi spazi di autonomia, il suo senso di efficacia personale.
Ascoltate che differenza importante: devi parlare più lentamente può trasformarsi in un più ispirante puoi parlare più lentamente; devi essere più creativo si tramuta in puoi essere più creativo; devi rispettare la scadenza diventa puoi rispettare la scadenza.
Abbandoniamo il devi, verso noi stessi e verso gli altri, creiamo una app interna che ci allerta sui nostri doverismi, diventiamo i nostri personal trainer e suggeriamo a noi stessi di accompagnarci a parole più amiche: ti chiedo, desidero, scegli, puoi, che sono il fertilizzante di un pensiero basato sulla ricerca di reciprocità, fiducia, liberazione della piena autonomia e della piena committenza.
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attivabile da HXO Srl per le persone della tua
organizzazione puoi scrivere a Francesca Sollazzo f.sollazzo@hxo.it
Domanda: esiste una app, tipo contapassi, che ci dica quante volte al giorno usiamo la parola “devi”?
Sarebbe un personal trainer ineguagliabile!
Non devi mettere le dita nella presa della corrente, devi mangiare lentamente, devi fare i compiti, non devi rispondere male all’insegnante, prima il dovere poi il piacere, devi prendere un bel voto, devi trovare lavoro, devi fare un bel progetto, devi rispondere alle mail, devi.
Lungo tutta l’età evolutiva e oltre abbiamo familiarizzato con la dimensione esistenziale del dovere, sia nel nostro dialogo interno sia nelle relazioni con altri.
E il dovere diventa bussola, sprone, stimolo all’efficienza, esortazione, sollecitazione. Ma diventa anche il primario ancoraggio a una semantica dell’obbedienza, della compiacenza, della dipendenza, poiché ingabbia la persona a una risponditività esecutiva, le sottrae ogni possibilità di sviluppare una piena committenza, le impedisce l’ariosità del desiderare e del crederci.
Il dovere è un accessibile sostituto di una richiesta: ho bisogno di chiederti un aiuto, diventa facilmente devo chiederti un aiuto; desidero che tu elabori un’idea, diventa rapidamente devi elaborare un’idea; mi piacerebbe tu prendessi la parola nelle riunioni, diventa comodamente devi prendere la parola nelle riunioni.
Pensiamo alla rivoluzione che potremmo avere in una singola relazione se decidessimo di sostituire sistematicamente la parola devi (dovresti, dovremmo, dobbiamo, devo) con un desiderio, una domanda, una piena esposizione di un nostro bisogno, riconoscendolo come tale: la relazione si aprirebbe a una piena reciprocità e al mutuo scambio, a un bisogno corrisponderebbe una richiesta che lascia l’altro libero di valutare la necessità di saperne di più ovvero di decidere se corrispondere al desiderio espresso, si abbandonerebbe l’equilibrio asimmetrico di una relazione top-down, si supererebbe lo schema comando-controllo che impoverisce lo scambio fra intelligenze e si traduce in mera compiacenza.
Non si tratta solo di evitare di dire devi, poiché anche quando il dovere è un parametro semantico implicito, danneggia l’intensità e la significatività di una relazione; se il pensiero della relazione con l’altro è fondato su un doverismo di fondo, sull’attesa che l’altro corrisponda un’esigenza, nasce quel tragico sistema di debiti e crediti che la trappola dell’obbedienza o della disobbedienza alimenta; ne conseguono pochi spazi di discrezionalità e un definitivo impantanamento nel giudizio e nella valutazione dicotomica di adeguatezza o inadeguatezza a ciò che ci si aspettava l’altro facesse.
Il dovere è un’ingiunzione illusoriamente orientata all’efficienza: costruire un messaggio intorno al dovere è rapido, chiaro, diretto, immediato; ma non tiene conto dell’ingaggio, del senso di autoefficacia che l’altro ha, del suo intimo crederci e del suo intimo desiderarlo.
Immaginiamo di voler esortare una persona che si è tolta il gesso a muovere il braccio: devi muoverlo altrimenti la muscolatura… Oppure un ragazzino a fare i compiti anziché giocare con qualche diavoleria elettronica: devi fare i compiti e smettere di giocare…
Certamente il doverismo ci rende apparentemente molto efficienti nel trasmettere il nostro messaggio, ma cosa otteniamo? Motivazione? Coinvolgimento? Autonomia realizzativa?
È più faticoso programmare una fisioterapia per il braccio del nostro amico e più dispendioso innescare il riconoscimento della propria ambizione nel nostro ragazzino, soprattutto perché ci dovremo profondamente e personalmente implicare nei percorsi e non basterà un devi. Tuttavia otterremo risultati sia sul problema contingente sia nel lungo termine con incommensurabile efficienza sistemica.
Il dovere è la sottrazione della possibilità di scegliere, poiché lascia all’altro (o a noi stessi nel nostro dialogo interiore) solo due strettissime possibilità: obbedire o disobbedire, compiacere o deludere, cedere o opporsi.
Lo sforzo del lasciare andare il dovere è corrisposto da una grande opportunità: quella di rivelare alla persona gli impatti del suo agire e pensare per permetterle di valutare autonomamente quale strada percorrere.
Pensiamo ad esempio di voler chiedere a qualcuno di fare più attenzione agli errori dei progetti o dei report o dei documenti che invia. Abbiamo già deciso che non ci basta più semplicemente dirgli “devi fare meno errori” quindi ci impegneremo a rivelargli l’effetto che i suoi errori hanno sul sistema organizzativo, sul team, su di noi o sulla sua stessa reputazione: quando consegni un progetto con tanti errori sicuramente risparmi il tempo necessario all’ultima rilettura e all’ultima verifica; i tuoi progetti sono talmente complessi e innovativi che abbiamo bisogno di proteggerne la validità agli occhi di chi, capo o cliente, li leggerà quando usciranno dal nostro gruppo; scegli di volta in volta se preferisci tutelare il tuo tempo rischiando che i destinatari finali possano svalutare il tuo lavoro o impiegare del tempo per verificare l’accuratezza dei dettagli.
La parola amica è “scegli” e intorno a essa possiamo costruire un modo nuovo per chiedere, suggerire, sollecitare.
Infine il dovere annulla il potere, lo sostituisce indebitamente, indebolendo l’implicazione della persona, i suoi spazi di autonomia, il suo senso di efficacia personale.
Ascoltate che differenza importante: devi parlare più lentamente può trasformarsi in un più ispirante puoi parlare più lentamente; devi essere più creativo si tramuta in puoi essere più creativo; devi rispettare la scadenza diventa puoi rispettare la scadenza.
Abbandoniamo il devi, verso noi stessi e verso gli altri, creiamo una app interna che ci allerta sui nostri doverismi, diventiamo i nostri personal trainer e suggeriamo a noi stessi di accompagnarci a parole più amiche: ti chiedo, desidero, scegli, puoi, che sono il fertilizzante di un pensiero basato sulla ricerca di reciprocità, fiducia, liberazione della piena autonomia e della piena committenza.
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