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100 Candele: la magia delle donne
Storie di donne. Il nostro inno al femminile per costruire una narrazione collettiva.
Da un’idea di Lara Cesari e Paola Pirri.
Paola Pirri e Lara Cesari
Candela 100
Io sono un strega e tutte le donne che conosco, a guardare bene, lo sono.
Io sono un’esplosione e scuoto, scaldo e accendo chi mi sta a fianco.
Amo guardare oltre, sotto il livello dell’acqua.
Amo guardare oltre, sopra le nuvole e il cielo dove non c’è fine.
Il tempo più quieto per me è quello trascorso in compagnia di parole che raccontano storie.
Il tempo più lieto per me è quello dedicato all’incontro, alle chiacchiere che portano leggerezza e alle parole scambiate che fanno bene.
La mia più grande paura è la paura, quella che immobilizza, che ti fa credere che da sola non ce la puoi fare, che rende ciechi e non ti fa vedere quanto è bello quello che stai vivendo, che regalo meraviglioso è ciò che hai.
La mia più grande paura è il non esserci più, l’essere arrivati alla fine del lungo viaggio e il doversi accomiatare, troppo grande è la voglia di vita.
La mia storia ha radici lontane, conosco i nomi dei miei trisavoli, le loro storie e la loro umanità, mi sono state raccontate e le racconto a mia volta, fanno parte di me e cerco di fertilizzarle per renderle eterne.
Le mie radici amano essere trapiantate e si adattano a nuovi terreni, non sentono lo strappo e portano dentro il segno del luogo che fu.
Sognando comprendo, il sogno mi apre gli occhi.
Quando sogno volo alta verso tutto il possibile che c’è, nulla mi appesantisce.
Dimentico il rimpianto, che ogni tanto mi schiaffeggia, perché è un peso che mi impedisce di alzare lo sguardo lontano.
Quando dico rimpianto dico che non lo conosco, mi assale solo la nostalgia del tempo vissuto.
Solitudine, isolamento, silenzio, sono i miei piccoli lussi, la mia culla, la mia cuccia, perché sto davvero bene con me.
Mi basto perché mi nutre la fantasia, non ho mai smesso di immaginare il domani.
Ho bisogno di ascoltare, dalla mia bocca e da quella degli altri, che va bene così. E ho bisogno di cantare.
Ho bisogno di libertà, di ormeggi lenti che mi permettano di prendere il vento.
Sono testa, il pensiero è il mio totem.
Sono cuore perché amo profondamente, lealmente, definitivamente.
Sono ragione perché tengo insieme e lascio andare.
Siamo grate a questo coro che si è innalzato, il femminile è pane, è vino, è compagnia, nutre, inebria, ti rispecchia e ti comprende fino in fondo.
Paola Pirri
Candela 1
Non tutti possono dire di avere avuto una fata madrina. Io sì.
Mi ha dato spazi di lentezza e pensiero, di esplorazione e scoperta, di magia. Un giorno andai a trovarla, lei vive in un’altra città, in una casa in mezzo a un bosco di ciliegi e un orto botanico di cui si prende cura. La trovai, al tramonto, nel cortile intenta a innaffiare i suoi fiori e quando mi vide lasciò a terra il tubo con la sua fontana d’acqua e mi corse incontro, e fu entusiasmo e gioia pura.
Mi fece vedere le nuove piante, dando un nome a ciascuna, che come sempre io dimenticai subito, lasciando a lei la custodia di quei nomi, mi indicò un nuovo nido e un nuovo gattino, mi accompagnò nella mia camera per cambiarmi e rinfrescarmi, mi disse che mi avrebbe aspettato in cortile.
Impiegai forse un po’ di tempo, frastornata come sempre dalla quantità di volumi e libri di ogni genere che stipano quella casa e ogni sua stanza, attrattivi per me per le loro promesse, per la possibilità che sanno dare di non sentirti mai sola, così quando tornai da lei, lei non c’era.
La chiamai e sentii la sua voce allegra che mi rispondeva dal portico. La raggiunsi e la trovai felice che accendeva le ultime candele di un’infinità di candele accese, che aveva acceso per me, illuminando di magia la mia vita. Solo una donna può essere una fata madrina e solo una fata madrina può rendere eterno un istante, perché sa rendere quell’istante un’icona di assoluto.
Scopri tutti i contenuti del Blog: Le Nostre Parole
Paola Pirri e Lara Cesari
Candela 100
Io sono un strega e tutte le donne che conosco, a guardare bene, lo sono.
Io sono un’esplosione e scuoto, scaldo e accendo chi mi sta a fianco.
Amo guardare oltre, sotto il livello dell’acqua.
Amo guardare oltre, sopra le nuvole e il cielo dove non c’è fine.
Il tempo più quieto per me è quello trascorso in compagnia di parole che raccontano storie.
Il tempo più lieto per me è quello dedicato all’incontro, alle chiacchiere che portano leggerezza e alle parole scambiate che fanno bene.
La mia più grande paura è la paura, quella che immobilizza, che ti fa credere che da sola non ce la puoi fare, che rende ciechi e non ti fa vedere quanto è bello quello che stai vivendo, che regalo meraviglioso è ciò che hai.
La mia più grande paura è il non esserci più, l’essere arrivati alla fine del lungo viaggio e il doversi accomiatare, troppo grande è la voglia di vita.
La mia storia ha radici lontane, conosco i nomi dei miei trisavoli, le loro storie e la loro umanità, mi sono state raccontate e le racconto a mia volta, fanno parte di me e cerco di fertilizzarle per renderle eterne.
Le mie radici amano essere trapiantate e si adattano a nuovi terreni, non sentono lo strappo e portano dentro il segno del luogo che fu.
Sognando comprendo, il sogno mi apre gli occhi.
Quando sogno volo alta verso tutto il possibile che c’è, nulla mi appesantisce.
Dimentico il rimpianto, che ogni tanto mi schiaffeggia, perché è un peso che mi impedisce di alzare lo sguardo lontano.
Quando dico rimpianto dico che non lo conosco, mi assale solo la nostalgia del tempo vissuto.
Solitudine, isolamento, silenzio, sono i miei piccoli lussi, la mia culla, la mia cuccia, perché sto davvero bene con me.
Mi basto perché mi nutre la fantasia, non ho mai smesso di immaginare il domani.
Ho bisogno di ascoltare, dalla mia bocca e da quella degli altri, che va bene così. E ho bisogno di cantare.
Ho bisogno di libertà, di ormeggi lenti che mi permettano di prendere il vento.
Sono testa, il pensiero è il mio totem.
Sono cuore perché amo profondamente, lealmente, definitivamente.
Sono ragione perché tengo insieme e lascio andare.
Siamo grate a questo coro che si è innalzato, il femminile è pane, è vino, è compagnia, nutre, inebria, ti rispecchia e ti comprende fino in fondo.
Paola Pirri
Candela 1
Non tutti possono dire di avere avuto una fata madrina. Io sì.
Mi ha dato spazi di lentezza e pensiero, di esplorazione e scoperta, di magia. Un giorno andai a trovarla, lei vive in un’altra città, in una casa in mezzo a un bosco di ciliegi e un orto botanico di cui si prende cura. La trovai, al tramonto, nel cortile intenta a innaffiare i suoi fiori e quando mi vide lasciò a terra il tubo con la sua fontana d’acqua e mi corse incontro, e fu entusiasmo e gioia pura.
Mi fece vedere le nuove piante, dando un nome a ciascuna, che come sempre io dimenticai subito, lasciando a lei la custodia di quei nomi, mi indicò un nuovo nido e un nuovo gattino, mi accompagnò nella mia camera per cambiarmi e rinfrescarmi, mi disse che mi avrebbe aspettato in cortile.
Impiegai forse un po’ di tempo, frastornata come sempre dalla quantità di volumi e libri di ogni genere che stipano quella casa e ogni sua stanza, attrattivi per me per le loro promesse, per la possibilità che sanno dare di non sentirti mai sola, così quando tornai da lei, lei non c’era.
La chiamai e sentii la sua voce allegra che mi rispondeva dal portico. La raggiunsi e la trovai felice che accendeva le ultime candele di un’infinità di candele accese, che aveva acceso per me, illuminando di magia la mia vita. Solo una donna può essere una fata madrina e solo una fata madrina può rendere eterno un istante, perché sa rendere quell’istante un’icona di assoluto.
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